2000 anni fa ha avuto inizio una rivoluzione. Anche se questa rivoluzione culminerà con una trasformazione del nostro modo fisico di stare al mondo, coinvolgendo la politica, l’assetto sociale e persino la nostra struttura biologica, essa è prima di tutto una rivoluzione della coscienza.

La rivoluzione consiste nello spostamento del nostro baricentro psichico dall’esterno verso l’interno: Dio, ovvero la fonte della Verità, del Potere e dell’Amore, è stato rivelato come una realtà prima di tutto interna all’individuo e non più delegata a un “altrove”, fuori da noi.

“La Sorgente da cui zampilla la vita è dentro di te”; “il Regno di Dio è dentro di te”; “il Padre e il Maestro prendono dimora dentro di te”; “il Tempio sei tu”; “La Luce, la Perla, il Tesoro e la Città Santa risiedono nel tuo cuore”: queste e molte altre sono le immagini con le quali Rabbi Yeshua ha indicato all’umanità la Presenza di Dio celata nell’intimo del cuore.

Non si tratta di affermazioni astratte o di versi poetici: il Maestro ha inteso gettare, attraverso le sue parole, il seme energetico della Coscienza del Cristo, una vibrazione in grado di risvegliare in ognuno di noi la consapevolezza della Divinità che ci abita, e delle sue infinite risorse. Cogliere e far radicare questo seme, non ha nulla a che vedere con l’acquisizione di un nuovo paradigma intellettuale: è l’inizio di una trasformazione radicale del nostro senso di esserci e della nostra percezione della realtà.

Nutrire questo seme e la pianta che ne nasce, significa smettere di cercare il senso e l’orientamento della nostra vita all’esterno, per coltivare la consapevolezza della nostra presenza e del nostro sentire come fonte definitiva di ogni Sapienza.

Molte tecniche e molte pratiche oggi ancora in uso, diventano in tal modo retaggio di un tempo in cui l’uomo, per conoscere, doveva necessariamente uscire da sé.

Molto tempo prima di Cristo, le parti profonde di noi, dalle quali sgorga il contatto con la Verità, non erano ancora sviluppate e integrate, e così il praticante doveva necessariamente cercarne un surrogato, proiettandole in entità e dimensioni percepite come separate da sé.

Il comune denominatore delle modalità arcaiche per muovere verso forme superiori di conoscenza è infatti l’uscire da sé, spesso anche nel senso di abbandonare temporaneamente il corpo fisico.

Pensiamo ad esempio a pratiche di cui ancora oggi si parla come i “viaggi fuori dal corpo”, i “viaggi astrali”, le “canalizzazioni”, il “connettersi con i Registri Akashici”, e via dicendo. Non intendo qui addentrarmi in una descrizione approfondita della natura e delle modalità di simili tecniche, che sarebbe complessa anche a causa della grande confusione e imprecisione con cui queste vengono solitamente citate: mi limito a indicare genericamente che esiste ancora oggi tutto un universo di metodologie e approcci alla conoscenza, accomunati dal medesimo fattore: una concezione separativa ed esteriorizzata della coscienza.

Che io abbandoni il mio veicolo fisico per esplorare l’astrale o qualsivoglia “altra dimensione”, che io mi proietti nei “Registri Akashici” per attingervi determinate informazioni, o che io mi faccia “canale” (channeling) di entità terze, energie assortite o maestri di varia natura, il comune denominatore sta sempre in questo: sto trattando un’energia, un’informazione, una qualità vibratoria o una risorsa superiore della psiche, come qualcosa di separato da me, di esterno, che io devo cercare e ricevere da un luogo, una dimensione o un’entità che non sono io.

Si tratta del medesimo stato “arcaico” della coscienza.

Alcuni vanno in Chiesa o chiedono consiglio al parroco; altri fanno il pellegrinaggio in Terra Santa; altri si recano sul “piano astrale”, volano presso i “Registri Akashici” o accolgono i messaggi di un’entità canalizzata. Cosa cambia?

Nulla di diverso rispetto alla spiritualità dell’Antico Testamento, che Gesù venne a rivoluzionare: ci si rivolge a un Dio “fuori”, si fa l’offerta al Tempio, si cercano regole, indicazioni e comandamenti chiedendoli a “qualcun altro” che ne sappia più di noi.

Ciò significa che dopo 2000 anni, ancora non abbiamo compreso: il Maestro ha indicato il nostro cuore come il Nuovo Tempio! Dio è dentro, la Verità è dentro, il Maestro è dentro: perché cerchiamo tra i morti colui che è vivo? Perché cerchiamo in delle immagini esteriori prive di vita propria, quella Vita che vive e zampilla con rigogliosa freschezza nel nostro seno e nel nostro ventre?

C’è un modo nuovo di sperimentare la presenza di Dio.

Chi non cerca dentro di sé adora “ciò che non conosce” (Gv 4, 22): infatti quando vediamo qualcosa sul piano astrale, canalizziamo -vuoi pure- l’entità più elevata dell’universo o riceviamo informazioni dai registri dell’Akasha, come possiamo discernere la qualità di ciò che percepiamo? Come capire se un’entità è realmente elevata, se un Maestro è realmente tale, se una visione sottile è autentica o distorta dalle nostre proiezioni? Risposta: non possiamo a meno che non lo chiediamo al solo Maestro di cui possiamo fidarci: il nostro sentire, il nostro Cuore.

Il “modo nuovo”, che permette finalmente di conoscere Dio in “spirito e verità”, è l’Intuizione, che si manifesta come il sentire immediato e indubitabile che sgorga dal nostro cuore, come “sorgente d’acqua viva”.

Infatti, anche qualora incontrassi il Cristo in persona, come potrei sapere che si tratta realmente di Lui e non di un impostore o di un’illusione? Solo chiedendolo al mio sentire!

Per questo Gesù, riguardo al Suo stesso ritorno, disse di non farsi trascinare dalle apparenze, dai fenomeni esteriori, ma di restare centrati nel Cristo Interiore:

Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. -Lc 17, 23

Non fatevi spostare fuori dalla tentazione di proiettare all’esterno ciò che è dentro, rimanete in voi, ascoltate il Maestro che è dentro: solo così Mi riconoscerete e Mi vedrete arrivare.

Continua nella Seconda Parte…

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