Spesso le persone mi contattano in privato. Altrettanto spesso, i messaggi privati contengono richieste più o meno esplicite di aiuto o consiglio in merito a situazioni conflittuali che la persona sta vivendo.

Conflitto è ogni circostanza in cui una o più parti di noi portano avanti istanze in contraddizione tra loro. Una parte di me vuole restare nella relazione, un’altra vuole andarsene. Una parte di me vuole cambiare lavoro, un’altra ritiene che perdere il posto attuale sarebbe una follia. E così via…
Quando siamo contesi tra la Scilla e la Cariddi di due istanze psichiche che si contraddicono l’errore è quello di ritenere che la soluzione consista nel “fare la scelta giusta”: proiettiamo il conflitto all’esterno e cadiamo nell’illusone secondo la quale tutto starebbe nel capire cosa sia meglio rispetto alle circostanze esteriori. Ma non è così: il conflitto non è fuori, è dentro.
Non devo quindi capire se il mio attuale partner vada bene o no per me. Oppure se sia meglio continuare a lavorare alle poste o intraprendere una carriera da terapeuta olistico: non potrò mai capirlo! Posso capire solo quale parte di me vuole o non vuole cambiare lavoro o relazione. Paradossalmente, se un mestiere coincida o no con la mia vocazione, non dipende dal mestiere, ma da me! Se un partner sia o meno il compagno o la compagna della mia vita, non dipende dal partner, ma da me!

L’attenzione a questo aspetto è cruciale anche per guarire dal fariseismo, ossia da quella tendenza diffusa negli ambienti spirituali che porta alla formulazione di precetti dal valore assoluto.
C’è ad esempio la scuola di pensiero del “bisogna stare nella situazione”: sono quanti diranno sempre e in ogni caso che non si deve cambiare partner o lavoro bensì “stare”, perché lo stare è sempre sinonimo di assunzione di responsabilità e di un corretto lavoro alchemico, mentre il lasciare fa sempre rima con “fuggire”. Cavallo di battaglia di questa scuola rabbinica, è la narrazione inerente i temi de “Le Fiamme Gemelle” e “La Coppia Sacra” (menzionati con la consueta maiuscola come prescritto dal canone).
Stesso fanatismo di senso opposto si riscontra presso gli zeloti del “lascia”, “vai”, “segui il flusso”: siffatti rabbini ritengono sia doveroso seguire sempre e immediatamente qualunque sentire, non avere schemi, fluire con la vita, passando magari da una relazione all’altra perché “l’Anima è oltre il possesso”. Cavallo di battaglia di questa corrente dogmatica sono quei temi riconducibili a slogan quali: “La monogamia è un’invenzione della Chiesa” o “Si possono amare più persone nello stesso tempo” (leggasi: “Si può trombare con più persone nello stesso tempo, fintanto che i diretti interessati ne sono all’oscuro…”).
Naturalmente entrambe le tifoserie spirituali sono composte da orde di pazzi. E questo per il suddetto motivo: il punto non è mai stare o lasciare ma: quale parte di me vuole stare e quale vuole lasciare?

La risposta corretta è sempre: “dipende”.
Devo terminare o meno una relazione? Dipende!
Devo cambiare lavoro oppure no? Dipende!
Diversamente, sarebbe come voler dare una risposta assoluta alla domanda: “Devo girare a sinistra o a destra?”; ovviamente dipende da dove stai andando. E il “dove sto andando”, naturalmente, può dirtelo solo la tua Anima.
Se la mia parte sana riconosce il mio attuale partner come l’uomo o la donna della mia vita, e prova amore autentico per lui\lei, mentre la parte che vuole andarsene è solo una parte mentale che tende a fuggire dalla realtà proiettandosi nell’ideale di un futuro partner migliore, allora sarà bene restare. Andarsene sarebbe effettivamente una fuga.
Ma se al contrario è la mia parte sana a riconoscere che semplicemente lui\lei non è la persona giusta per me, mentre è la mia parte dipendente, timorosa di affrontare il lutto per la fine della relazione, che mi suggerisce di restare, in tal caso sarebbe proprio il proseguire la relazione a rappresentare una fuga dal processo evolutivo.
E così per ogni situazione in cui siamo contesi dai due corni di una scelta critica.

Quando ciò accade, vuol dire che ci troviamo di fronte al conflitto tra la direzione in cui vuole andare la personalità –intesa come l’insieme dei nostri aspetti psichici di superficie, condizionati dalla nostra storia, dall’ambiente e dalla biologia- e la nostra Anima –intesa come la nostra parte essenziale (chiamata “Io Centrale” da Gurdjieff, “Sé” da Jung, “Cristo-in-noi” nella tradizione cristiana). Ovviamente l’Anima è la sola parte di noi che può sapere quale è la scelta realmente giusta per noi: essa è il passeggero che conosce la destinazione per raggiungere la quale serve la carrozza; il padrone di casa che sa come la casa deve essere amministrata, e quindi quale è la funzione corretta di ciascuno dei servitori. E la Volontà dell’Anima si manifesta come un sentire profondo, un sapere di natura intuitiva che sorge esclusivamente dall’interno e che non può essere delegato a nessuno, nemmeno al nostro Maestro spirituale o alla più affidabile delle guide, così come alle parti inferiori da cui è composta la personalità. Chiedere al nostro bisogno di riconoscimento, alla nostra pulsione erotica o al nostro intelletto, quale sia la cosa migliore da fare in una data situazione, sarebbe come chiedere alla spia della riserva dell’automobile, se la prossima vacanza sia meglio trascorrerla al mare o in montagna. La macchina può servire a portarci dove vogliamo, ma non può e non potrà mai dirci dove andare.
Quando la vita ci pone in una situazione di conflitto interiore c’è una sola cosa da fare: protrarre l’auto-osservazione con la maggiore intensità possibile sino a contattare con chiarezza quale sia il nostro vero sentire, ovvero quale istanza interna rappresenti la Volontà della nostra Anima, e quale invece un nostro aspetto secondario da amare, accogliere, ma a cui non delegare il potere di dirigere le nostre scelte. Come in una casa ben amministrata c’è spazio per tutti, ma a ognuno spetta il proprio posto e la propria mansione.
Ogni scelta, specie se è ardua, possiede una specifica funzione evolutiva che consiste nella possibilità di riconoscere e accogliere una componente psichica inconscia che ci stava dominando, portando così avanti il processo di integrazione e di realizzazione del Sé. Nel contempo, ciò comporta sempre una presa di contatto più profonda con la nostra Anima: per questo non è mai realmente importante cosa scegliamo, ma quanto profondamente sappiamo ascoltarci e ricordarci di noi, nell’atto stesso di scegliere.
Più della scelta, conta lo stato di coscienza a partire dal quale la scelta si compie.
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